Un fantasma nella Fortezza… per colpa di Giosia d’Acquaviva
In ogni maniero che si rispetti c’è un fantasma che ne rende misteriosa l’atmosfera, e anche la fortezza di Acquaviva Picena rispetta questa tradizione.
Il suo spettro nasce nel 1432 da un fatto realmente accaduto e legato ad un esponente di quella famiglia degli Acquaviva che costruì la fortezza tra l’XII e XIII secolo.
Pochi anni dopo la morte di Federico II di Svevia, la potente famiglia degli Acquaviva lasciò il castello piceno, da cui prese il nome, al comune di Fermo per 7500 fiorini d’oro.
Si alleggerirono anche di altri possedimenti marchigiani prima di trasferirsi ad Atri con il titolo di duchi e guadagnando anche la signoria di Teramo.
Nella seconda metà del Quattrocento, grazie al matrimonio di Andrea Matteo d’ Acquaviva con Isabella Piccolomini d’Aragona iniziò la longeva dinastia degli Acquaviva d’Aragona che annovera l’ultimo discendente nel generale Luigi d’Acquaviva, senatore del Regno d’Italia nel 1860.
Tra i tanti rampolli degli Acquaviva troviamo il burrascoso mercenario Giosia d’Acquaviva, quinto duca d’Atri, conte di San Flaviano, signore di Jesi e di una quindicina di altri comuni tra Marche ed Abruzzo.
Nacque a Teramo nel 1399 e qui fu nominato governatore a vita dalla regina Giovanna II d’Angiò di Napoli tra peripezie e lotte di fazione che, con astuzia, forza e violenza, riuscì a dominare.
Siamo nel convulso periodo di lotte tra eccelsi mercenari e grandi dinastie italiane ed estere in cui violenza, scaltrezza, accordi, divorzi, tradimenti rappresentano la quotidianità, e Giosia è un indiscusso protagonista di questo momento.
Tentò più volte di conquistare Ascoli Piceno senza mai riuscirvi, ma fu capace di strappare la fortezza di Acquaviva Picena al comune di Fermo.
Era il 7 novembre del 1432 quando Giosia, grazie ad un cenno del capitano della guarnigione fermana a presidio della fortezza, entrò in piazza con le sue milizie e se ne impadronì.
Sembra che Giosia abbia corrotto il capitano non solo con il denaro, ma anche con la promessa di non uccidere nessun soldato e tantomeno la famiglia del comandante che viveva nel forte. Una volta entrato il giuramento venne cancellato dall’immediato sterminio di tutti gli uomini, dello stesso capitano e della sua famiglia.
Da quel momento il fantasma del povero capitano prese a vagare nella fortezza; pentito del suo gesto e soprattutto arrabbiato, si scagliò per secoli contro i malcapitati ospiti della sua rocca con ceffoni e spintoni.
Se è vero che il fantasma, di cui si è tanto parlato per anni, oggi sembra essere “sparito” o, forse, diventato piuttosto schivo, se non addirittura accogliente, la fama del turbolento Giosia non si è mai placata; alla morte della sua protettrice Giovanna d’Angiò si scatenò la guerra di successione al trono di Napoli tra Renato d’Angiò e Alfonso d’Aragona che coinvolse ben altre famiglie italiane e lo stesso papa.
Giosia si schierò a fianco degli Aragonesi e nella battaglia navale di Ponza fu catturato dai genovesi alleati del duca di Milano Filippo Maria Visconti.
Visconti conosceva bene la forza e la destrezza di Giosia tanto da stringere con lui un patto d’alleanza per arginare l’espansione di Francesco Sforza nell’Italia centrale dove, nel 1438, strappò a Giosia anche Acquaviva riconsegnandola a Fermo e privandolo di Teramo e di molti altri territori abruzzesi.
Giosia d’Acquaviva fu comunque capace di riconquistare diverse terre e a suo sostegno arrivò anche Alfonso d’Aragona portando dalla sua parte molte città abruzzesi, ma non volle riconoscere a Giosia il dominio sulla sua Teramo.
Ovvio che l’Acquaviva non tollerò il gesto e si accordò con il precedente nemico Francesco Sforza per assediare Teramo con risultati così buoni da preoccupare Alfonso d’Aragona che, per riparare, consegnò a Giosia il ducato d’Atri da poco strappato alla sua famiglia.
Ci fu un breve periodo di distensione, ma alla morte di Alfonso d’Aragona, Giosia tentò di riprendersi Teramo e, seppur con qualche impiccio di troppo, ottenne finalmente la sua città natale nel 1459. Ancora a lungo tentò di arginare le pressioni dei nemici, ma le strenue lotte lo costrinsero a rifugiarsi nella fortezza di Cellino Attanasio, nel teramano, dove morì di peste il 22 agosto del 1462.