Il Teatro dell’Aquila di Fermo
Il Teatro dell'Aquila di Fermo
Le Marche sono conosciute come la terra dei 100 teatri e non è un numero esagerato perché dalla prima metà del Settecento fino all’Ottocento vennero costruiti ex novo quasi 160 teatri molti dei quali, circa una settantina, vantano ancora oggi un’attività regolare e grande dinamismo.
La costruzione di edifici adeguati ad ospitare spettacoli teatrali fu un’esigenza che dislocò gli spettacoli dalle sale nobiliari e spazi di palazzi pubblici, in contenitori ad hoc esclusivamente dedicati alle rappresentazioni da cui nacquero le elaborazioni progettuali degli dell’architetti dell’epoca. La presenza di un teatro nella città era uno status symbol incoraggiato dai politici locali e dai ceti più facoltosi che qui si incontravano e scambiavano accordi, ma anche il popolo gradiva le rappresentazioni teatrali come momento di svago da una quotidianità non sempre facile.
Il Teatro di Fermo fu a quell’epoca il più grande delle Marche e il progetto nacque per l’ormai scarsa capacità della Sala delle Commedie, ospitata nel Palazzo dei Priori, di adempiere alla sua funzione pubblica.
La realizzazione si mosse tra incomprensioni, ostacoli e difficoltà di reperire un luogo adeguato all’interno della città. Finalmente individuato nell’attuale via Mazzini, rimase stretto tra le costruzioni già presenti che condizionarono molto la forma del nuovo fabbricato. Il progetto fu firmato dall’architetto imolese Cosimo Morelli (1732-1812), tra i più attivi e apprezzati nello Stato Pontificio, che portava con se un’ottima squadra di manovali, pittori e decoratori. Progettò una sala a pianta ellittica con 105 palchi e altre due annesse: la prima, come androne di ingresso, chiamata “sala della Nobiltà”, e la seconda per accogliere i “Musicisti”.
Il lavoro fu realizzato tra il tra il 1781 ed il 1791 dal capomastro Luigi Paialunga e gli interni curati dai due bolognesi Vincenzo Mazza per le pitture e le scenografie, e da Antonio Pizzoli che realizzò le macchine di scena, entrambi della squadra di Morelli. Non sappiamo quali decorazioni ornassero il teatro, ma sono descritti ornamenti in finto marmo secondo la moda dell’epoca, rivestimenti in velluto dei palchi di primo e secondo ordine e panche nella platea, il tutto illuminato da raffinate cornucopie. Ancora mancante delle due sale, “Nobiltà” e “Musicisti”, fu fatta una prima rappresentazione, “La morte di Abele”, come collaudo della struttura il 26 settembre del 1790, affidando poi al dramma sacro “La distruzione di Gerusalemme”, dello stesso autore Giuseppe Giordani, l’apertura ufficiale nel 1791 quando il teatro venne battezzato “dell’Aquila” a richiamo dell’aquila nera fermana che campeggia sullo stemma comunale.
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Il nuovo teatro non fu però molto gradito al pubblico e problemi di acustica, scene non complete, decorazioni da migliorare, costrinsero ad intraprendere nuovi lavori come la riduzione del palcoscenico da tre ad una bocca, e rivedere le finiture delle sale. Il teatro rimase chiuso fino al 1800 e aperto solo per il Carnevale del 1792 e quello del 1796. In questi anni fu l’architetto e pittore marchigiano Giuseppe Lucatelli (1751 – 1828) a lavorare per ottimizzare tutto l’interno. Lucatelli (Mogliano 1751–1828) fu un artista multiforme e particolarmente abile nel passare dall’architettura alla pittura con spigliatezza ed ottimi risultati. Nel teatro fermano, risultato di quella grande stagione di nascita dei teatri marchigiani, applicò tutto il suo fervore per i modelli neoclassici, azzardando soluzioni innovative e occupandosi anche delle pitture del soffitto e del sipario andate in rovina nell’incendio del 1826 quando buona parte della platea e del palcoscenico furono irrimediabilmente danneggiati.
Il nuovo restauro stavolta fu affidato a Pietro Ghinelli (1759 – 1834) già autore dei teatri “Rossini” di Pesaro e del “Delle Muse” di Ancona. La forma è quella tipica ottocentesca ellittica, 124 di palchi disposti su 4 ordini con loggione soprastante, palcoscenico ad una bocca, soffitto con volto ribassato e nuova platea inclinata per garantire una migliore acustica. Le decorazioni dei palchi e la doratura furono affidate alla mano del maceratese Biagio Baglioni.
Qualche anno più tardi, attorno al 1828, sarà il raffinato Luigi Cochetti (1802- 1884) a dipingere l’intero soffitto e lo splendido sipario con le immagini dei miti greci. Il Cochetti presentò il suo disegno preparatorio alla Congregazione dell’Accademia di San Luca che lo accolse con piacere. Solo una piccola osservazione: “sarebbe desiderabile che il trono di Giove, posto nel mezzo del disegno e destinato a trionfarvi, fosse più magnifico e conforme ai troni descritti dagli antichi”. Il soffitto, infatti, narra della corte di Giove intenta ad ascoltare il canto di Apollo e il sipario raffigura L’Armonia mentre consegna la cetra al Genio fermano.
Il Cochetti ebbe una lunga e fortunata carriera a Roma e in tutta la provincia pontificia sia come pittore che come decoratore. A Fermo non si limitò al Teatro, ma diversi anni più tardi tornò per dipingere L’Apollo con le muse danzanti nella Sala Verde di Palazzo Vitali, le preziose decorazioni di Palazzo Nannerini, oggi sede della prefettura, quelle dell’Arcivescovado, e il ritratto del cardinale Tommaso Bernetti esposto alla Pinacoteca Comunale. La sua impostazione classica e purista ormai codificata, è ben visibile nel Teatro dell’Aquila dove applica i modelli raffaelleschi nel plasmare i personaggi, le forme simmetriche della composizione e un cromatismo trasparente e luminoso.
Il sipario ritrae la mitologica e raffinata Armonia mentre consegna la cetra al genio di Fermo, protettore alato della città che si intravvede sullo sfondo con a sinistra l’allegoria del fiume Tenna. Il soffitto, dipinto a tempera, presenta un’elegante scena corale con i Numi dell’Olimpo: Giove, Giunone, le tre Grazie e le sei Ore notturne che danzano al canto di Apollo.
Al centro della composizione pende un prezioso lampadario a 56 bracci di ferro dorato con foglie di legno che all’epoca era alimentato a carburo e fu acquistato a Parigi.
Il già conosciutissimo pittore, architetto e scenografo Alessandro Sanquirico (Milano 1777- 1849), che aveva già lavorato alla Scala di Milano e al Teatro di Pesaro, dipinse alcune scene con il suo gusto neoclassico: il Bosco, il Luogo magnifico, il Foro romano, la Piazza con loggiato, il Rustico, i Sotterranei di un castello, tutte con grandiosi impianti prospettici che uniscono architetture e natura in perfetto equilibrio.
Un nuovo restauro avvenne alla metà dell’Ottocento su progetto di Giovan Battista Carducci, che aggiunse anche alcuni elementi decorativi e gli arredi dei palchi, ma i lavori, sempre a piccole porzioni, si protrassero fino agli anni Settanta del Novecento. Nuovi lavori di consolidamento e messa in sicurezza si sono avvicendati negli anni fino alla definitiva riapertura avvenuta l’8 marzo del 1997.
Bibliografia
E. Sori, Perché tanti teatri nelle Marche?. in AA.VV., L’architettura teatrale nelle Marche: dieci teatri nel comprensorio Jesi-Senigallia, Jesi, 1983
A. Monti, Tipologie edilizie e scenari urbani nelle Marche in età neoclassica, in Quaderni del bicentenario, II, 1996.
G. Nepi, Guida di Fermo, Fermo 1990.
M. Vitali a cura di, Il Teatro dell’Aquila, Fermo, 1999.
Foto di Daniele Maiani – Arowana Studio